Cucina
La lingua di pianura che dal Biellese si stende verso Vercelli diventa,
in primavera, una sorta di mare a quadretti e d'estate una gialla
distesa ondeggiante al vento. La coltivazione del riso ha profondamente
modificato il paesaggio e ha inciso sulla cultura gastronomica di tutto
il territorio. Anche un altro cereale, il mais la cui diffusione risale
al '700, si impone sotto forma di polenta nell' alimentazione quotidiana
dei montanari e dei valligiani, caratterizzandola con prepotenza, in
felice connubio con i prodotti lattiero-caseari. Nel passato, dalla
collina e dalla montagna le genti scendevano al piano per scambiare
castagne e formaggi con riso e meliga: così i prodotti della pianura
sono diventati indispensabili per cibi tipici della montagna, come la
"pulenta cunscia". Dalla Riviera ligure, attraversando la pianura, i
venditori ambulanti salivano verso la montagna con pesci conservati,
assai impiegati nella cucina locale: le acciughe erano e sono un
ingrediente essenziale della "bagna cauda", che nel Biellese si
personalizza con l'impiego dell'olio di noci (oggi nuovamente prodotto a
scopo dimostrativo nel Museo Laboratorio del Mortigliengo); il merluzzo
salato, cotto con cipolle, latte o pomodoro era ed è una una delle
preparazioni tipiche che si gustano con la polenta. Per le popolazioni
della fascia collinare rimane fondamentale nei secoli la risorsa
rappresentata dalla castagna, tanto importante da diventare parte
essenziale oltre che dell'economia, anche delle tradizioni. le castagne
si mangiavano lessate con il latte, con il vino, si abbinavano al riso,
si riducevano in farina e si cuocevano come polentine molli e nutrienti;
essiccate e pulite si barattavano con altri cibi: pur non essendo
espressione di benessere, erano fonte di indipendenza economica. Ancora
oggi sono impiegate nella preparazione di risotti, minestre e dolci.
I piatti tradizionali e i prodotti tipici
Nel
Biellese le risorse del territorio derivanti da un'agricoltura poco
redditizia e da una pastorizia diffusa hanno inciso profondamente sulla
cucina tradizionale che, basandosi su pochi ingredienti, ha saputo però
utilizzarli nelle varie zone della provincia con accorgimenti diversi,
tanto da ottenere preparazioni localmente ben caratterizzate. Così ogni
valle produce formaggi peculiari, tra i quali sovrana è la toma: nella
zona occidentale - Valli Cervo ed Oropa - prevale il tipo a pasta
semigrassa, nel Biellese Orientale - Valle Mosso e Valsessera - quella
di latte intero, detta Maccagno; i formaggi freschi, "tumìn", quando
sono amalgamati con aglio e peperoncino diventano "sancarlìn", là dove
sono invece insaporiti con olio, aceto e spezie prendono il nome di
"frachèt", se lasciati interi a macerare in olio con abbondante paprica
si trasformano in ardenti "tumìn eletric". Formaggi freschi o stagionati
sono ingredienti di particolari fondute, come la singolare "fundùa 'd
zeile", dove la toma fresca è fatta sciogliere con uova e Rumex acetosa.
Insieme
con i prodotti caseari le zuppe, le minestre e la polenta sono le vere
protagoniste di una cucina che ha origini genuinamente rustiche. Piatto
tradizionale della conca di Oropa, la cui fama ha però varcato i confini
del territorio biellese, è la "pulenta cunscia", morbida crema di mais
cotta a lungo nel paiolo, nella quale viene sciolto abbondante formaggio
locale e incorporato gustoso burro di cascina. Gli stessi condimenti
insaporiscono il "ris an cagnùn", cioè riso lessato e amalgamato con
toma e burro soffritto: preparazioni semplici e antiche che fondono le
risorse di alpeggio con i prodotti della pianura. Il riso è pure
ingrediente del "mactabe", densa minestra e piatto unico serale per
molte generazioni di Biellesi, del "ris e riundele" - riso e malva - o
della "minestra marià" - riso, biete o spinaci selvatici - solo per
citare alcuni tra i primi piatti che, a seconda delle stagioni e delle
vallate, compongono il repertorio gastronomico della provincia. Varietà
di sapori anche per le zuppe a base di pane, tra cui eccelle la "süpa
mitunà", che in primavera si arricchisce del gusto imprevedibile - ora
dolce, ora amarognolo, ora marcato - delle erbe dei prati, e che nel
periodo invernale si trasforma nel sapore per l'utilizzo dei porri e del
cavolo verza.
La carne, un tempo raramente presentata in modo
trionfale (la gallina farcita, il coniglio in "scivé", la "sacoccia"
ripiena erano piatti riservati alle occasioni speciali), entra come
ingrediente timido, con le uova, le verdure e i profumi dell' orto, nei
ripieni dei "capunét" - involtini di foglie di bietola o di cavolo - dei
fiori di zucca e delle cipolle. Gli insaccati sono prodotti in grande
varietà (assai diffuso è il "salam 'd l'ula", cioè conservato sotto
grasso) e sono impiegati in cucina anche nella preparazione di piatti
tradizionali, quali la "frità rugnusa" - frittata con il salame - o la
"verzata" - ricca minestra, quasi un piatto unico, di cavolo verza e
salame. Le trote dei torrenti di montagna e i coregoni del lago di
Viverone sono giustamente rinomati per la loro delicatezza.
Ogni
paese vanta di fatto una specialità dolciaria, ma in tutto il territorio
è tipica "l'arsumà", morbida spuma di uova e zucchero diluita con latte
o vino, da gustare con torcetti e biscotti fragranti di forno o con le
"miasce", sottili cialde di farina di mais. Se le acque del Biellese
sono famose per l'eccezionale leggerezza (l'acqua oligominerale
Lauretana è oggi l'erede di un' antica tradizione idroterapica), non
manca neppure una buona gamma di vini tra cui spiccano rinomati D.O.C.;
Biella vanta inoltre una birra di qualità eccellente, la Menabrea,
giudicata la migliore del mondo nel tipo Lager. Un cenno di riguardo
merita il Ratafià di Andorno, ricavato dalla macerazione alcolica di
ciliegie selvatiche, secondo una ricetta vecchia di 500 anni.
La
grande varietà di fioriture consente di selezionare una vasta gamma di
mieli: di robinia, di castagno, di tiglio, di rododendro, di tarassaco,
di fiori di monte, solo per citare i più diffusi. Nel Biellese il miele,
oltre ad essere utilizzato come dolcificante, viene per tradizione
servito con la polenta. Nelle sagre e nei mercati di paese è ancora
possibile reperire la mostarda di mele e la mostarda di uva, preparate
concentrando il succo di frutta con una lunga cottura (anche più di 12
ore) e trasformandolo in un denso e bruno sciroppo, con cui accompagnare
il bollito, il formaggio fresco, la paletta o la polenta.
Testi a cura di Atl Biella www.atl.biella.it
Fotografie: Fabrizio Lava